00.71.55
Il linguaggio della distanza
Una performance interdisciplinare di Mina D’Elia realizzata con STEAM Atelier.
“Nell’ipervisibilità della nostra cultura ciò che rischiamo di perdere è la capacità di autopercepirci. […] La responsabilità dell’artista è quella di colui che vive il suo presente e partecipa alla sensibilità che lo circonda, non crea soliloqui o esibizioni narcisistiche, ma dialoga con il suo tempo e il suo spazio.” [ A. Balzola, P. Rosa, L’Arte fuori di sè, 2010]
00.71.55 è una performance uno-a-uno che si svolge in due spazi distanti. L’artista e lo spettautore non possono vedersi e si relazionano rispettivamente con uno smartphone e un oggetto indossabile, collegati tra loro in tempo reale attraverso la rete.
Condotta da Mina D’Elia, la performance interdisciplinare è stata prodotta in forma di residenza d’artista durante il periodo di quarantena per pandemia da Covid-19, dal 9 marzo al 18 maggio 2020. Il processo di realizzazione è stato supportato da Giada Totaro, artista dei nuovi media e fondatrice di STEAM Atelier, ente no profit che dal 2017 promuove la contaminazione tra artisti di tutte le discipline, creativi digitali ed esperti di nuove tecnologie, per sensibilizzare e diffondere l’uso critico ed interdisciplinare dei nuovi media.
Una sfida non solo generazionale, ma spazio-temporale, data dall’impossibilità del contatto fisico tra le due donne, entrambe pugliesi, che hanno scelto di vivere questa condizione “limite” come risorsa e alba di un nuovo linguaggio. In uno spazio, Mina con uno smartphone e Whatsapp, senza una connessione internet fissa, al civico 71 di un’abitazione salentina. In un’altra locazione al civico 55, Giada con un computer collegato in rete e vari microcontrollori della famiglia Arduino. Inoltre, la prima fase della ricerca, si è svolta con il coinvolgimento di otto partecipanti al corso-laboratorio offerto su due piattaforme indipendenti da multinazionali, e in generale, da Google: e-lab.space di Noema online Education, dove sono condivisi i contributi e i materiali didattici legati al progetto, DEVIED per le attività formative live. Infine, l’ Arduino Web Editor è stato utilizzato per la programmazione da remoto.
La performance si svolgerà presso abitazioni e altri luoghi dedicati alla cultura da luglio 2020. Le riflessioni fondamentali che s’intende innescare sono due.
Sensibilizzare il dialogo intorno agli spazi altri in grado di accogliere nuove soluzioni per rispondere all’attuale crisi intorno alla formazione, alla produzione e alla fruizione dell’arte, soprattutto in momenti in cui il distanziamento sociale non è più una scelta, ma una condizione, in particolare: la propria abitazione. La crisi attuale del mondo dell’arte cavalca l’esplosione della rivoluzione digitale iniziata negli anni Novanta. Franco Berardi Bifo nel suo “After The Future” nel 2010, molto tempo prima che un virus, un entità invisibile ai nostri occhi avesse portato l’intera umanità fuori dalla propria zona di comfort, constatava: “La visione progressiva si basa sull’idea che l’evoluzione è orientata all’uomo. L’evoluzione non è orientata all’uomo. L’evoluzione attuale è andata oltre i limiti di una civiltà orientata all’uomo perché i limiti della conoscibilità e della controllabilità umana sono stati superati. […] Migranti, precari, lavoratori cognitivi: condividono la stessa condizione di debolezza, in diversi gradi. Ma non sono in grado di trovare un terreno comune di solidarietà e lotta. Questa apparente non ricomponibilità del lavoro è l’effetto della digitalizzazione del processo di produzione, e della successiva frattalizzazione e precarizzazione del lavoro.”
Per rispondere all’esaurimento dell’identità soggettiva e sociale, 00.71.55, fa ricorso alla memoria, alle sue possibili forze e funzioni. Durante la riflessione intorno alle potenziali soluzioni wearable per lo spettautore, un pò per caso, un pò per intuito, ma anche con un pizzico di “pancia”, è stato scelto un oggetto appartenente alla casa dove ha sede l’atelier: uno scolapasta antico di proprietà dei nonni di Giada. Quest’ultima lo ha letteralmente “ribaltato” e lo ha indossato come un copricapo per sfuttarne le proprietà strutturali e di risonanza sonora e visuale. Lo scopo è stato trasformarlo in un dispositivo sinestetico immersivo individuale per lo spettautore, in grado di ricevere suoni e colori generati dalle scelte della performer Mina D’Elia, la quale non vede l’altro e non è vista. La performance suggerisce le pratiche del “togliere”, dell’ “artista invisibile” e in ultima istanza dell’ “ozio” e della “noia” come azioni e visioni necessarie del fare artistico: apparentemente inutili, ma salvificamente necessarie. Come la vita dell’insetto cicala, le cui “mute” sono state raccolte nel tempo dagli alberi di uliveti secolari e poi cucite sul copricapo indossato a sua volta dalla performer. L’obiettivo è procurare una suggestione ipnotica dove l’altro è percepito sinesteticamente grazie ad un sistema ibrido interattivo realizzato con una MKR1010 Arduino e il suo Cloud IOT Beta. “In un mondo già colmo di artefatti le tecnologie portano all’eccesso la saturazione semiotica, ma offrono anche all’arte gli strumenti del togliere anzichè del mettere. Riportando la forma all’invisibile e scongiurando la sparizione dell’arte attraverso l’arte della sparizione.” [ A. Balzola, P. Rosa, L’Arte fuori di sè, 2010].
Per l’artista Mina D’Elia nel presente l’umanità tutta è in quella fase del ciclo vitale delle cicale in cui si è costretti a fare la muta, abbandonare il vecchio e, nel silenzio costretto e assordante eppur magnifico, tentare di andare verso una rinascita. Come la linfa degli alberi e la terra nutrono la cicala, così lo spettautore nella performance trova la propria linfa fino a “sentirsi” esso stesso luce, suono, corpo di cicala. “Il mio brano preferito è quello che ascolto sempre, tutto intorno a me, quanto tutto è calmo” diceva John Cage. Ai canti degli uccelli e degli insetti, ai rumori della città, ma soprattutto ai suoi silenzi, Mina D’Elia, integra il sound e il light design dell’opera: natura e artificio, memoria e linguaggio, in 00.71.55 convivono e collidono con le reazioni e interazioni che determinano l’azione performativa e l’opera in sè.
Si ringraziano in particolare: Pier Luigi Capucci, Irene Scalinci, Fabio Dell’Anna, Alessandro Spano, Silvia Cappello, Fabrizio Averono, Alberto Cesari, Helen Spackman e Raffaella Ferreri per il loro contributo alla nascita del progetto.